Fogli multicolori by Mario Bortolotto

autore:Mario Bortolotto [Bortolotto, Mario]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2021-04-14T22:00:00+00:00

IL SAMURAI BORGHESE

Nel 1988 Hans Werner Henze tornava al teatro, con un’opera in due atti, naturalmente in lingua tedesca: Das verratene Meer (Il mare tradito), su testo di Hans-Ulrich Treichel tratto da un romanzo di Yukio Mishima, Gogo no eiko. Sacro a ogni ambiguità, ben oltre le sette investigate da Empson, il libretto, di sicurissimo taglio, si rivestiva di oscurità, anche più nel radicale rifacimento di dodici anni dopo: un’idea che ci pare non possa altrimenti giudicarsi che geniale: la versione ritmica in giapponese, con vaste aggiunte, e per contro implacabili tagli, alla ricerca di un’essenzialità drammatica quanto musicale. Alla musica appunto, oltre che al felice spettacolo presentato dal Festival dei due mondi spoletino (sicura direzione di Johannes Debus, affascinante autorevole regia di Giorgio Ferrara, scenografia di Gianni Quaranta, costumi di Maurizio Galante, luci a cura di A.J. Weissbard) si fa qui costante riferimento, accogliendo il primitivo dialogo tedesco, e, soprattutto, la traduzione elegante dell’opera narrativa in francese.

Si noterà subito il rapporto con almeno due prove teatrali che consideriamo le massime del compositore: Der Prinz von Homburg (1960) di Ingeborg Bachmann, Elegy for Young Lovers (1961) di Auden e Kallman, e, degli stessi, The Bassarids (1966): se ne potrebbe trarre un postulato comune, ch’è senz’altro ascrivibile a un rinnovato teatro della crudeltà: collegando tre aspetti di implacabilità etica, da Euripide a Kleist e, non subito evidente, allo stesso Auden.

Il romanzo di Mishima appartiene, de rigueur, a tali cime impervie, e tale dovrebbe sonare, pensiamo, nella stesura definitiva, se almeno si considerano le lingue occidentali in cui subito fu tradotto; con titoli che peraltro ci sembrano tutti giustificati da taluni aspetti o momenti della terribile storia: Le Marin rejeté par la mer, The Sailor who Fell from Grace with the Sea e infine, oltre il citato tedesco, Il sapore della gloria. Si noti che l’ultimo è essenzialmente ironico. Quando, alla fine, il protagonista, mancato eroe che ha tradito il mare, beve il tè avvelenato che gli è stato offerto, ne trova sgradevole il sapore: il che consente alla narrazione la chiusa atroce: «Sempre immerso nel suo sogno bevve d’un tratto il tè tiepido. Dopo averlo bevuto gli parve d’un gusto terribilmente amaro. Come ognun sa, la gloria è amara». Ogni asserto è pesato con responsabilità estrema. Perché il tè avrebbe a essere freddo? L’assassino lo ha già nel thermos da assai tempo, ma la paura del gesto che evidentemente non gli è facile (si tratta di un tredicenne) lo ha fino allora trattenuto.

L’opera è interamente fondata sull’equivocità d’ogni azione, vorremmo dire d’ogni parola: il parlato non essendo meno tremendo d’ogni meditata impresa. In altre parole, la legge drammatica è, come nei classici, giapponesi e altri, l’impassibilità epica.

Qualcosa comincia a chiarire la vicenda fin dalle prime pagine, del romanzo come della partitura. Kuroda Fusako è una signora ancor giovane, vedova da otto anni; un figlio, Noboru, ne ricambia l’affetto, anche spingendosi verso il vetitum: arrivando a spiare, attraverso una fessura, la madre stessa, sia che si spogli per la notte sia che

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